mercoledì 25 aprile 2012

Canone RAI (bozza da revisionare)

Profumi di sole nell’aria, pitosforo incredibilmente in fiore e ragazze dai seni marmorei e dalle gambe da colonnato dorico.
L’estate, la stagione più bella, l’unica che vale la pena di essere vissuta, intervallata da nove interminabili mesi di totale merda.
In pratica, una gravidanza isterica, i nove mesi di gestazione che danno per frutto non un rompicoglioni cacarone mangiasoldi, bensì 3 mesi di sole, caldo, assenza di pioggia.
Arturo Paganini aspettava l’estate ogni anno per potersi fare i suoi bei 100 giorni di mare, 7 giorni su 7, 8 ore al giorno, levate delle piccole eccezioni dovute allo svegliarsi dopo le 14, rintronato dal troppo sole del giorno precedente, oppure dalle troppe birre.
Trattasi di un bamboccione da manuale, inquilino di una mamma iperprotettiva e ingozzatrice, nonostante il 100 sulla bilancia, e il 40 sulla torta di compleanno.
L’ex giovane, talvolta, veniva svegliato attorno alle 10 dalla madre, con caffè fumante sul vassoio d’oro zecchino, la qual cosa lo faceva andare su tutte le furie.
Volava il vassoio a mo’ di fresbee dalla finestra, che atterrando produceva un fragoroso rumore di gong tipo Pink Floyd live in Pompei, colpendo immancabilmente l’Alfa Romeo con impianto a gas di Arturo, la quale, non essendo assicurata, si ritrovava con vari bozzi non riparabili neanche con gli usuali imbrogli dei falsi incidenti.
Lo stato italiano aspettava invano i soldi del farabutto, che ovviamente non aveva mai pagato il bollo, mentre per il canone della RAI, ricorreva a penosi trucchi da braccato della mala.
Ogni suono di campanello, poteva essere quello fatale, il controllo TV! Per risparmiare il centinaio di euro annuali faceva una vita di inferno, costretto ad essere sempre all’erta e vigile.
Si allenava anche a fare la voce da vecchina tremante, che rispondeva “Chi è?” al citofono, con tutta una serie di frasi sull’indigenza, la malattia, la vedovanza e l’impossibilità di possedere un televisore.
Gli amici lo sapevano, ed uno, particolarmente stronzo, tale Ciccio Salmone, architettava scherzi cattivi, spacciandosi per il controllore.
Seguivano lunghe conversazioni tra il farabutto e il ciarlatano.
Una vita d'inferno, sempre sul chi va là, ed infatti ne risentiva il fisico, spossato dalla colite.

Un ventrone da malato era la sua condanna, ma lui ci piazzava un carico da briscola con un tipico abbigliamento scacciafiga.

Una volta che voleva fare il generoso portando in chiesa abiti usati per gli indigenti e gli extracomunitari dei ricoveri provvisori della città, fu accolto con grande fervore dal parroco che lo scambiò per un disgraziato appena sbarcato da una carretta del mare. Arturo, in quella occasione, sfoggiava un'eleganza multicolor, sembrava John Travolta in "Saturday night fever" mixato con una Oba Oba del carnevale di Rio.
Impietosito, don Cingolati, offrì allo straccione ricovero per la notte, vitto, ed un nuovo guardaroba, donato da Bibi de Bibis, un noto imprenditore cittadino, un po' eccentrico, che non si perdeva mai una gay parade nel raggio di 24mila km.
Aurturo, frastornato dal forte profumo emanato dal prete, che sembrava avesse trangugiato un'intero flacone di Loulou de Chacharel, non riuscì a desistere, ed accettò passivamente l'infausto destino che si prospettava.
I suoi abiti furono bruciati come fossero infetti dal vibrione del colera, e si ritrovò completamente nudo nei locali della parrocchia, nell'attesa dell'ambaradan del De Bibis. Trovò un asciugamano e si fascio le pudenda a guisa di pannolone. Si trovò a passare Alberigo Bovoloni, noto per il suo alito petrolchimico, che da anni interpretava la parte di Gesù nell'attesissima PASSIONE VIVENTE organizzata dalla parrocchia, e vedendo il filibustiere conciato in quel modo, pensò di trovarsi davanti un concorrente panciuto, un usurpatore. Alberigo, vanitosissimo e perfido, vide rosso e si avventò sul malcapitato urlando le invettive bibliche: «Guai a te! Scriba e fariseo! Tu ipocrita!». A corollario del tutto gli sputò in faccia e gli mollò un manrovescio a palmo aperto che produsse il rumore di una frustata: STCIACKKT.
Sorpresissimo, Arturo, non ebbe neanche il tempo di realizzare e rimase a bocca aperta senza parole, con un cinque dita vermiglio che gli si formava lentamente sulla guancia.
Quell'altro non la smetteva: «Giuda iscariota, neanche il ladrone cattivo puoi fare, ma ti sei visto, Barabba che non sei altro? Quest'anno poi, deve venire la RAI a riprendere tutta la rappresentazione, figurati se mi faccio togliere la parte!», e giù un altro sputo col bonus dello schiaffone, stavolta più secco, che produsse il suono di un ramo spezzato: SPPPTAPP.
Alla parola "RAI", Arturo pensò che quello che gli stava capitando era una punizione dantesca dovuta ai suoi sotterfugi per non pagare il canone TV.
Nel frattempo, finalmente tornò il parroco, con il guardaroba per il fetente "Barabba", che  poté togliersi la mutanda di fortuna, penosamente insozzata da un'evidente sgommata. Questo particolare provocò le risa di scherno del pubblico, che improvvisamente si era formato nella stanza. Parrocchiani, extracomunitari scommettitori alla SNAI, chierichetti, suore svizzere, candidati a sindaco, cani e gatti popolavano ed assistevano alla vestizione dell'ignudo.
Dal baule dell'eccentrico donatore uscì l'inverosimile, e quasi quasi il lestofante penso a rimettersi il pannolone quando vide che la cosa più sobria era il perizoma modello "Belen a Sanremo".
Alla fine della vestizione, sembrava uscito dal film "Totò l'imperatore di Capri", precisamente il personaggio interpretato da Galeazzo Benti

Fine primo tempo